Ennesimo colpo di scena nell’annosa vertenza sul Carlo Felice. Dopo il pugno duro usato dal sindaco di Genova Marco Doria, si infiamma lo scontro, con i sindacati che accusano

il primo cittadino di aver calcato la mano sulla mobilità dei lavoratori del teatro genovese.

È di ieri pomeriggio la notizia che ora i lavoratori si sono spaccati. Da un lato ci sono i dipendenti favorevoli all’intesa, dall’altro la maggioranza che va sulle barricate. E già si parla di un referendum chiesto da una novantina di lavoratori sui contratti di solidarietà proposti inizialmente da Doria, ma poi rigettati dalla base dei lavoratori. Questa reazione aveva provocato la rabbia del sindaco stesso. Il pacchetto di lavoratori, una minoranza all’interno del teatro, chiede al primo cittadino di andare avanti, dritto per la sua strada, sui contratti di solidarietà, senza effettuare marce indietro.

Il tutto nasce al termine dell’incontro tra Doria, Giovanni Pacor (anche lui finito nel mirino dei lavoratori), il sovrintendente del teatro di Piazza De Ferrari, e il braccio destro di Doria stesso, il professore universitario Silvio Ferrari, primo sponsor del “barone rosso” in campagne elettorale e membro del cda. A Palazzo Tursi Doria aveva deciso di avviare dall’inizio della prossima settimana le procedure di mobilità che, dopo 45 giorni effettivi, potrebbero culminare nel licenziamento. “Questa è l’unica decisione utile e ragionevole per salvare il Carlo Felice” aveva spiegato agli organi di stampa. “Non possiamo aspettare il 15 settembre per osservare il giudizio dei lavoratori sui contratti dio solidarietà – aveva rincarato Doria stesso – per quella data la situazione dei conti del teatro potrebbero ancora peggiorare”.

Dai banchi dell’opposizione si parla di ripicca del sindaco: “Non si amministra a suon di ricatti” tuona la pasionaria esponente del Pdl, Lilli Lauro, una fedelissima di Sandro Biasotti. Difende il sindaco il capogruppo del Pd, Simone Farello, l’ex assessore al traffico della giunta di Marta Vincenzi: “Quella dei contratti di solidarietà era una strada obbligata”.