Ormai viene dato per certo: al prossimo Salone Nautico di Genova, organizzato da UCINA, saranno assenti i grandi marchi della nautica nazionale: Azimut/Benetti, Baglietto, Perini Navi e Ferretti.

Aziende di caratura mondiale che preferiscono prendere il largo dallo specchio d’acqua prospicente la Fiera, puntando sulle manifestazioni espositive di settore in programma a Cannes e Montecarlo. Il tutto accompagnate da un’epigrafe tombale per l’evento genovese: “insufficiente”.
La cosa era già da tempo risaputa e non sorprende. Quello che invece lascia basiti è l’assenza di un pubblico dibattito critico sull’incredibile dissipazione dell’asset fieristico locale, avvenuta, tra l’altro – in un lasso di tempo pluridecennale (mezzo secolo). Sulle responsabilità di una vicenda che impoverisce gravemente la città e chiama in causa una classe dirigente colpevolmente illusa di poter covare all’infinito le uova di pietra dei padiglioni dell’Expo; azzerando qualsivoglia spinta manageriale con l’eterna vocazione alle rendite di posizione.
L’adagio suicida del “qui hanno da passare”, che ha accomunato il susseguirsi di gestioni all’insegna del compiaciuto (e per i diretti interessati ben remunerato) immobilismo. Dal presidente degli anni Sessanta – il commercialista fanfaniano Carlo Pastorino – fino ai curatori e alle curatrici fallimentari delle ultime stagioni.
Infatti, mentre in Italia e in Europa crescevano le azioni promozionali per accaparrarsi la localizzazione di sempre nuove fiere e mostre, dalle nostre parti si è dormito alla grande. E chi dorme non solo non piglia pesci; si fa scappare ogni opportunità (per cui, alla fine, lascia morire di inedia un business che era nato con ben altre prospettive).