Se pure risulta un po’ eccessiva, la sentenza odierna del governatore Giovanni Toti intervistato da Michela Bompani (“la mia Liguria vivrà di turismo dodici mesi”)

enfatizza un concetto senza dubbio condivisibile: tra le tante brutte notizie che hanno funestato la nostra estate, quella di una crescita in volumi del terziario turistico è certamente positiva. Semmai – come Liguriaeconomy non si stanca di ripetere – il problema è quello di consolidare la tendenza. E la strada non può essere che una sola: fare sistema. Ma non è tale l’impostazione molto politichese della “macroregione” (l’alleanza con il Piemonte e la Lombardia che già in passato fallì miseramente, come faceva presagire l’acronimo con le sigle dei tre capoluoghi: GE-MI-TO), in cui le sinergie restano vaghissime e la naturali dinamiche concorrenziali più che evidenti. Sistema lo si fa – semmai – favorendo la cooperazione tra le nostre categorie e stipulando alleanze “a reti lunghe”, ossia con i soggetti che governano grandi bacini di potenziali destinatari della nostra offerta di accoglienza.
Al di là delle legittime dichiarazioni di soddisfazione, ciò di cui si attende il varo è un vero piano industriale per il turismo come scelta dell’intera comunità locale, accompagnato da un’efficace azione di regia da parte dell’istituzione.
Ma, in materia di progettazione strategica in materia di specializzazione territoriale, è possibile e ragionevole trascurare il settore che per buona parte del Novecento ha svolto il ruolo di primo motore dell’area? Parliamo dell’industria, oggi gravemente ferita dall’avanzata de-industrializzazione. Un fenomeno mai affrontato in passato dai governi locali se non con interventi a tampone (troppo spesso quando – come si dice – le stalle erano ormai vuote), non percepito da una pubblica opinione frastornata dalle meline di una comunicazione pubblica che congelava la palla della discussione pubblica per stornare l’attenzione dalle proprie responsabilità.
Appurato che il turismo può concorrere utilmente al mix economico ligure, non svolgere funzioni sostitutive, all’approssimarsi delle piogge autunnali varrebbe la pena di non lasciare cadere la provocazione del segretario di Camera del Lavoro Ivano Bosco di una chiamata generale per l’avvio di “politiche volontaristiche di sviluppo” (come gli economisti di territorio chiamano i piani strategici tipo Barcellona). Evitando gli abbracci mortali in chiave di strumentalizzazione elettoralistica che ne distorcerebbero immediatamente significato e valore.